Le apparenze spesso ingannano. Ma osservando con più attenzione, indugiando sui dettagli e sul naturale incedere del corpo umano, ecco che gli invisibili legami che uniscono o allontanano le persone farsi luminosi, così accecanti da spazzar via dubbi e domande, dando conferme a certezze mai espresse a parole.
Se questa è l’essenza delle osservazioni attente ma discrete dell’avvocato Calascibetta, uomo di vedute ampie e moderne che, attraverso lo scorrere delle decadi, funge da presenza costante e rassicurante all’interno dei palazzi Cangialosi e Damelio, l’oggetto del suo guardare sono le vite al femminile che le stanze di quei luoghi abitavano: Caterina, Sabedda, Nardina e Carlotta. Ma anche Rosetta, Bastiana, Cursidda, parte determinante nella vita delle prime.
Donne, di età ed estrazione sociale differenti, ritrovatesi nella Sicilia degli anni Venti del secolo scorso. Uno sfondo mai timido, bensì presuntuoso e prepotente, costellato di presenze maschili di cui Calascibetta, per tutti zù Pippino, fu l’unico incorruttibile. Malavitosi e baronetti strafottenti, uomini resi malvagi dalla violenza dei padroni o padroni omertosi delle loro azioni circondano, nella torrida afa del Sud, le protagoniste portate in auge da Milena Paminteri nel suo romanzo d’esordio.
C’è Carlotta, figlia e nipote, che dagli anni Sessanta di una Sicilia impegnata ad ammodernarsi, cerca di ricostruire, guardando nel suo passato, le storie della sua famiglia, tra documenti d’archivio e visite inaspettate, provando a dare un senso agli avvenimenti che scossero la sua vita d’infanzia. A contrasto, si alternano le storie e gli intrighi di Sabedda, un destino tracciato dalla povertà, e Nardina, dalle molteplici ambizioni imprigionate. Entrambe madri ma per destini e voleri diversi, trovatesi, quarant’anni prima, alleate senza davvero mai confessarselo in una coltre di uomini desiderosi di affermarsi a scapito loro.
Una storia affascinante, resa tale non solo dagli avvenimenti, ma anche dal linguaggio scelto – con molteplici parole tratte dai diversi dialetti siciliani – e dal contesto: un’isola, mai davvero parte del continente, sempre un passo indietro rispetto a quello che succedeva oltre lo Stretto, sempre timorosa di cambiare, per poi non cambiare mai tra gli anni del Fascismo e quelli del Boom economico. Con ricchezza di dettagli e attento studio, quello che Milena Paminteri tratteggia è uno splendido arazzo di una parte di storia italiana spesso messa a tacere, eppure con indelebili richiami alla contemporaneità – le sfide di essere donna tra norme patriarcali e rigidi vincoli sociali. Eppure, nelle parole della scrittrice esordiente a settant’anni dopo una vita passata a lavorare come conservatrice negli archivi notarili (dove insieme alla memoria economica di paesi e città italiane vengono conservate e custodite anche le nostre vicende individuali e collettive), emerge una storia toccante, che, privata da ogni sentimentalismo di sorta, diventa ancor più pregna di realtà.
Personaggi saggiamente tratteggiati diventano la rappresentazione delle sfaccettature dell’animo umano senza tempo: paura, orgoglio, affermazione, vendetta. Impossibile non richiamare alla memoria le altre penne sicule o che in quella terra di siccità ambientarono le loro storie – dai Florio a Pirandello, da Tomasi da Lampedusa a Sciascia. Come l’arancio amaro è il romanzo da leggere in questa rovente estate, avventurandosi, assieme alle sue protagoniste, in un futuro arguto.